Il pernacchio
di Mimmo Piscopo pittore
“Suono prodotto dal soffio d’aria nel pugno stretto “ (S.Zazzera)
L’origine di questo termine, peraltro puramente partenopeo, risale a circa duemila anni fa, che con riferimento latino del “pernaculum”, traeva la locuzione dai rumori intestinali prodotti dai maiali, che, con buona grazia, pascolavano numerosi, per cui, nel tempo, esso è stato elaborato quale onomatopia di disprezzo e di scherno verso chi meritava tale volgare apprezzamento. (nihil sub sole novum ).
L’italico sberleffo è magistralmente descritto da Giuseppe Marotta ne “L’oro di Napoli” elevandolo a filosofica dimostrazione di autentico sfottò, da …”canzonatura particolarmente vivace”, “sfottere”: prendere in giro (F. D’Ascoli. “vernacchio” (R. Andreoli).
Marotta ne sottolinea l’autentica sociologia, si da elevarlo a pura musicalità; da non sottovalutare il particolare accorgimento della pratica esecuzione del “pernacchio” e dove Eduardo De Filippo ha creato con innegabile maestria serio-comica, una scuola personale, quale irrisione, il cui risultato non è facilmente eseguibile da tutti, se non tramite una peculiare postura del palmo o dorso della mano sulle labbra opportunamente umettate, il cui fiato, “di testa o di petto”, erompe per durata e per spessore tonale, nel caratteristico suono dalle inconfondibili connotazioni di autentico pentagramma musicale. Nel corso dei secoli il pernacchio ha subito qualche trasformazione ed applicazione, secondo il soggetto al quale veniva rivolto e da chi era prodotto; quindi il pernacchio, dal timido, dal pigro, dal sommesso al plateale, fino all’eclatante sonoro e a seconda l’opportunità.
Con l’inevitabile evolversi delle varie culture, così questo è stato adattato, specie dalla plebe, quale innegabile depositaria dello “iscroscio di fiato” come lo definisce il D’Ambra, nell’esternare disapprovazione e disprezzo verso il singolo o collettività invise, o quando il cui operato non era benvoluto. Questo metodo volgare è stato adoperato specialmente verso certa borghesia e verso la nobiltà che ostentava agiatezza e spocchia, con derisione e disprezzo, dalla comunità popolare. La genesi del pernacchio si perde nei tempi, dove Renato de Falco colloca, tra l’altro, Salvatore Di Giacomo quale ricercatore di tale attività all’epoca del Satyricon durante i suoi convivi. Il richiamo ha interessato G.B. Basile e G.B. della Porta, le cui storie narrano ampiamente del “vernacchio” insieme al Fasano, allo Sgruttendio ed all’abate Galiani in polemica con Luigi Serio sulla origine del detto.
In questa breve carrellata tratta dalla folta letteratura, Ferdinando Russo non poteva esimersi con la rima: “…allazzava nu pernacchio…”, come anche Raffaele Viviani, Giuseppe Marotta ed altri. Ma l’esilarante comicità raggiunge l’apice con Totò nel film “I due marescialli” quando l’ufficiale nazista nel suo delirante comizio va alla vana ricerca dell’autore dell’infamante sberleffo del sonoro pernacchio a lui rivolto. Di tutt’altra natura, il femminile del vocabolo si estende a donna sgradevole e volgare dove “pernacchia” assume peculiare significato sprezzante.
Il gesto plateale sarebbe potuto assurgere a ben altra gloria, se questo, ad esempio, invece della modesta esecuzione solitaria di Totò, sarebbe stato eseguito tra la folla sotto il famoso “balcone”, con la probabile, conseguente svolta della storia e dei suoi protagonisti. Chissà!
Da ricordare, infine, che il caratteristico diapason del pernacchio non è producibile solo con la bocca, bensì anche da sotto le ascelle, come dimostrato da alcune pittoresche esibizioni teatrali e televisive, in performances abbastanza discutibili, ma che oggi, quasi in disuso, tuttavia, si potrebbe ben indirizzare “meritoriamente” verso tanti personaggi dalla censurabile moralità!!!
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