Napoli e la figura di Masaniello
Napoli, città di mistero e di leggende, di immaginazione e di sogno. Nel corso della sua storia millenaria, Napoli ha prodotto numerosi miti, racconti sospesi tra realtà e fantasia. “La sirena Partenope”, la musa ispiratrice, fondatrice e protettrice di Napoli, il cui appellativo “partenopeo” i napoletani ancora utilizzano per identificarsi, appartiene al nostro patrimonio culturale, alla nostra memoria storica e collettiva . Il mito spesso attinge da personaggi storici realmente esistiti, ricordati per gesta significative e come tale assurti a simbolo di quelle capacità, virtù o arte nelle quali si sono distinti. Tra i tanti miti quello di Masaniello è senza dubbio, il più duraturo ed internazionale. Poche altre figure storiche hanno avuto il merito di lasciare una scia consistente di memoria e di mito. In tre secoli e mezzo di storia, il mito di Masaniello ha attraversato alterne fasi, passando da valutazioni positive a valutazioni di autentica e drastica demitizzazione, con interpretazioni e valutazioni assai diverse. Tommaso Aniello d’Amalfi, figlio della colpa, pescivendolo, nato a Napoli e non ad Amalfi, a Vico Rotto al Mercato, dall’oscurità di un’ anonima e misera esistenza, nel volgere di una settimana, dal 7 al 16 luglio del 1647, balza agli onori della gloria al culmine del potere, per poi cadere repentinamente nel baratro della follia, del tradimento e dell’ assassinio. Bello, animoso e vivace, dinamico e avvolgente, senza nessuna cultura, abile nell’esercizio di diversi mestieri e tra questi anche del contrabbando, si trova a capo di una folla di popolani che protestano per l’esosità delle gabelle sui generi di prima necessità. Un odio a lungo covato verso baroni e gabellieri, esplode improvvisamente con una violenza inaudita, espressione di sofferenze patite non più sostenibili. Napoli, una delle città più popolose d’Europa ,soffocata dalle ingenti tassazioni spagnole, è nel 1647 una specie di grande palcoscenico, dove la vita cittadina, soprattutto nelle piazze, assume un aspetto teatrale, tra finzione e realtà. Piazza del Carmine, centro propulsore di attività commerciali, di riscossione delle gabelle e al tempo stesso teatro di rivolte popolari, è il centro di tutta l’intera vicenda; la piazza, luogo di festa, di lotta, di morte e di sacra rappresentazione alla Madonna Bruna, è testimone di vendette e rivendicazioni popolari al grido di “Viva il Re di Spagna e mora il mal governo”. Al sesto giorno di questa rivoluzione, la conquista popolare per l’eliminazione delle più pesanti gabelle e il godimento dei privilegi di Colaquinto, già concessi al popolo napoletano da Carlo V, trasformano Masaniello in un eroe; tutti lo acclamano, tutti gli riconoscono il ruolo ufficiale di capo e guida; Masaniello, capitano generale del popolo, vestito da “pescivendolo” amministra con sicurezza e scioltezza la giustizia da un palco a piazza Mercato o dalla finestra della sua modestissima casa. Suo consigliere e assistente è Giulio Genoino, uomo di legge, che non ha mai abbandonato il disegno politico di ottenere un’uguale rappresentanza dei ceti negli organi amministrativi della città. Masaniello è ormai il simbolo della libertà, è il mito della ribellione ai soprusi del potere. Il pittore Mirco Spadaro, reporter di spicco in quei convulsi giorni, gli dedica due dei suoi preziosi quadri. Il pittore Salvator Rosa, in una satira, si rivela suo partigiano. Il nome di Masaniello corre per il mondo. Scrittori, francesi e tedeschi, vedono in lui il campione della lotta contro la tirannide. Spinoza e Cromwell sono tra i primi personaggi a testimoniare la profonda ammirazione. Tuttavia la follia, nella quale cade il povero Masaniello, il tradimento dei compagni e l’assassinio concludono la sua apoteosi da vivo , ma appena ucciso , il mito di Masaniello si consolida fino alla sacralità e alla santità. Il ripristino delle gabelle alla sua morte e la cattiva qualità della palata, fa nascere intorno al suo corpo un moto devozionale simile in molti aspetti a quello per San Francesco e Sant’Antonio.. Il tempo scorre ma non cancella l’esempio coraggioso dell’umile pescivendolo che assurge a simbolo dei diritti umani e a precursore della rivoluzione partenopea del 1799. Ma, nell’immediato periodo della restaurazione, Ferdinando IV ne condanna la memoria con la dispersione delle ceneri . Il mito risorge in epoca risorgimentale ad incarnare un ideale, quello indipendentista contro la dominazione straniera, che nulla ha a che fare con la figura di Masaniello. Nel secolo del 1900, valutazioni così lusinghiere volgono a termine. Il sogno di giustizia dell’eroico Masaniello è banalizzato dal giudizio storico di Benedetto Croce e di Michelangelo Schipa, che svuotano da ogni significato politico, quali libertà e democrazia, la figura del pescivendolo rivoluzionario. La rivoluzione del 1647 è solo “uno dei tanti moti plebei, senza bussola e senza freno” ; “Genoino è la vera mente della rivolta che si serve dell’energico e irruente pescivendolo per raggiungere i suoi obiettivi politici”. Il giudizio dei due grandi storici napoletani ha intaccato pesantemente il mito di Masaniello, che da eroe dell’emancipazione popolare, da simbolo della ribellione ai soprusi del potere, è passato a rappresentare lo “ stereotipo del napoletano”, ignorante e nullafacente, a personificare la maschera del ribellismo rozzo ed incolto, furbo e servile con i potenti, tanto da avvicinarlo alla figura di Pulcinella. Il mito di Masaniello continua ancora oggi, chiamato in ballo a rappresentare ogni sorta di capopopolo, non importa quale popolo guidi e quali finalità persegua .
Ersilia Di Palo
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