La Pastiera
di Mimmo Piscopo pittore
Come tante prelibatezze della cucina napoletana, così la pastiera è per antonomasia, il dolce delle feste pasquali, anche se oggi si consuma indiscriminatamente tutto l’anno; la sua provenienza si perde in epoche e diverse località geografiche. Però, in ogni caso, il vocabolo “pastiera” è documentato fin dal periodo angioino. (De Blasi).
Le date più probabili della nostra era si possono ipotizzare sin dal 1500, quando nei conventi le suore si dedicavano alla creazione di succulenti manicaretti, le cui ricette, elaborate nel tempo, sono giunte in buona parte a noi, dove, nel recente passato, alcuni si sono fantasiosamente appropriati della soggettiva ed esclusiva paternità, che, tuttavia, già presso alcune famiglie, era radicata la tradizione consumarla tre volte l’anno: “ Pasca d’’e casatielle” (Pasqua di resurrezione), “Pasca d’’e fiori” (Pentecoste) e “Pasca ‘e Befania” (Epifania).
Ci riferiamo alle descritte formule dei dolci assurte alla nomina partenopea, da religiose, specificamente negli antichi monasteri di S. Gregorio Armeno o dell’Annunziata, quando ogni periodo dell’anno è simboleggiato dall’adeguato dolce, come la nostra pastiera, torta che segna la Pasqua, quindi, torta Pasqualina.
Essa assurge a simbolo di rinascita della natura, dopo i rigori dell’inverno, per i suoi ingredienti composti dal biondo grano, uova, ricotta e particolari aromi come cannella ed acqua di fior d’arancio. Sin dalla prima metà dell’800, la ricetta, nel rispetto dell’antica formula della pastiera, è stata trascritta dal nobile gastronomo Ippolito Cavalcanti Duca di Buonvicino (A. Colella) creando comunque diatribe per la sua enunciazione, per complessità di ingredienti e di preparazione. Essa richiede passione e particolare applicazione sin da giorni precedenti la cottura. Si crea l’impasto che si adagia nel recipiente di metallo, prevalentemente di latta, in cui, su velatura di sugna, è stesa la pasta frolla e la mistura di abbondante crema composta da grano cotto – e qui vi è la leggera differenza per le diverse scuole – chi lo dispone con o senza buccia messo a mollo nel latte, almeno per una settimana, quindi lo si impasta con ricotta, tuorlo d’uovo il cui bianco è montato a neve, cannella, zucchero di vaniglia, canditi di bucce d’arancio e cedro, infine, l’eccelso simbolo della profumata acqua di fior d’arancio. La laboriosa creazione della pasta frolla richiede paziente preparazione dei vari ingredienti le cui dosi sono suggerite da ricettari per tempi e apposite temperature, quando poi, su di essa, posta trionfalmente nella teglia, si adagiano strisce della stessa pasta larghe 2 cm circa, opportunamente tagliate dall’apposita rotella, onde creare l’incrocio caratteristico della nostra santificata pastiera, cosparsa infine, di candido zucchero a velo che nel gusto redime ogni controversia, grazie al comune e divino gusto della sua laboriosa, religiosa creazione. Amen.
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