La magica atmosfera degli affreschi di Belisario Corenzio
di Camilla Mazzella laureata in Studi storico-artistici
La strada che parte da piazzetta Aniello Falcone taglia via Luca Giordano e prosegue per la Floridiana onora il genio di Belisario Corenzio. L’artista, esponente del tardo manierismo, felice creatore di suggestivi affreschi ha un ruolo tutt’altro che marginale nella pittura del 600 napoletano.
Corenzio, nato ad Acaia nel 1558 si era trasferito molto giovane a Napoli dove morirà intorno al 1643, cadendo dai ponteggi mentre affrescava la volta della Chiesa dei Santi Severino e Sossio, il cui pavimento ospita la sua lastra sepolcrale.
Tra i suoi allievi vanno ricordati Onofrio e Andrea De Leone.
Corenzio è stato descritto nelle Vite di De Dominici come pittore attaccabrighe perché litigava con gli altri artisti locali e con gli stranieri per accaparrarsi tutte le committenze. Secondo i biografi napoletani avrebbe aggredito Guido Reni, arrivato a Napoli per decorare le cappelle del Duomo e addirittura sarebbe stato il mandante dell’uccisione del Domenichino che nel 1641 morì per avvelenamento. Belisario è nel ristretto novero di artisti chiamati per affrescare la Certosa di San Martino, capolavoro assoluto legato ai vari ordini religiosi.
In quella sede entra in contatto con i pittori chiamati per decorare larghe superfici della Certosa, sono artisti che provengono dall’Emilia Romagna, dalla Toscana e da Roma e che saranno fondamentali nel percorso di crescita dell’artista. Di Giuseppe Cesari, detto il cavalier d’Arpino, accolse lo stile sistino, che prediligeva il fasto e il decorativismo, al quale Belisario aggiunse un elemento di naturalismo, anche brutale. Corenzio fu impegnato in vastissime decorazioni sia in palazzi privati che pubblici. Tra le altre operò in una delle sale dell’appartamento storico di Palazzo Reale. Fu molto attivo anche nel territorio circostante di Napoli: Salerno, a Nola, a Cassino, dove affrescò la cupola distrutta in seguito ai bombardamenti dell’ultima guerra.
Tra le sue moltissime opere ricordiamo gli affreschi della Certosa di San Martino (la volta della sala del capitolo, la cappella dei santi Ugo e Anselmo e l’ingresso della chiesa) e quelli della Cappella del Tesoro nella Basilica della Santissima Annunziata dove il Corenzio abbandona i canoni sistini a favore di una maniera più composta. Siamo di fronte a un artista di grande fascino e di straordinario “mestiere”. Perché le grandi superfici dei palazzi napoletani (a partire da quello reale) creano non pochi problemi di rappresentazione, specie per quanto attiene i valori prospettici.
Gli affreschi di Belisario Corenzio hanno tutti superato alla grande questa prova non facile. Se appena si tiene conto che pittori non dello stesso talento si sono spesso “perduti “nella vastità delle sale.
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