Vincenzo Camuccini ritrattista di Lucia Migliaccio
La frequentazione del pittore Vincenzo Camuccini presso la corte borbonica risale all’epoca della seconda restaurazione di Ferdinando I di Borbone a Napoli (1816), ma perdura fino al Regno di Francesco I (1826). Al suo ritorno a Napoli, Ferdinando, ormai anziano e vedovo, confortato dall’amore per una donna più giovane, capisce che deve ripristinare visivamente il culto verso la propria persona, cancellato negli anni di dominio francese, e comunicare così ai propri sudditi di essere in grado di difenderli da nuovi invasori. Per ritrovare una piena legittimazione figurativa, Ferdinando si rivolge a quella stessa pittura che aveva celebrato l’arrivo dei napoleonidi e che aveva voluto la sua detronizzazione. Egli intuisce che, nel recuperarla, deve adattarla a sé, innestandovi atmosfere ed elementi più consoni alla sua Restaurazione, cercando dunque una mediazione con la pittura celebrativa neoclassica di fine Settecento. Il siciliano Giuseppe Cammarano e il savoiardo Jacques Berger, ritrattisti della famiglia reale di Ferdinando I con evidente influenza murattiana, non sono gli unici ad aver attratto l’interesse di Ferdinando I, come dimostra la chiamata a Napoli nel 1818 di Vincenzo Camuccini, il principale esponente del Neoclassicismo romano, il quale restaura finalmente un’immagine trionfante del recente passato borbonico Vincenzo Camuccini, romano, figlio di un commerciante di carbone, dopo aver trascorso la sua giovinezza a copiare i più grandi maestri della storia dell’arte del cinquecento e del seicento, come Michelangelo e Raffaello e a copiare gli originali dei musei capitolini e vaticani, si impose come uno dei massimi esponenti del neoclassicismo italiano. Le testimonianze della bravura del Camuccini come disegnatore sono numerose. Nelle considerazioni sullo stato delle Belle Arti in Italia, Guattani scrive: […] è cosa notissima come i profondi studi […] lo hanno condotto al punto di divenire la più corretta matita, il disegnar più spedito e netto che si conosca, il compositore più ragionato ed esatto. Ferdinando I di Borbone chiamò Vincenzo Camuccini presso la sua corte nel momento di massima affermazione del pittore, accreditato dall’aristocrazia internazionale soprattutto nella fama di ritrattista.Ferdinando I intese coinvolgere l’artista romano nell’ordinamento delle collezioni antiche ma anche nella riorganizzazione dell’Accademia di Belle Arti di Napoli. In questo periodo Ferdinando, per promuovere con la sua restaurazione la felice stagione del regno delle Due Sicilie, commissiona al Camuccini il suo ritratto, esposto nella sala del Trono di Palazzo Reale di Napoli, e quello della moglie morganatica, Lucia Migliaccio di Floridia, conservato al museo Duca di Martina di Villa Floridiana.Camuccini ritrae Ferdinando I del Regno delle Due Sicilie a figura intera, nel formato di tre metri per due, che vede il re abbigliato sontuosamente mentre è ripreso in un quartino del Palazzo reale, nelle vicinanze di un balcone dal quale si scorge la piazza principale, detta Largo di palazzo (in età post unitaria piazza del Plebiscito). Del ritratto della principessa di Partanna, Lucia Migliaccio, costato a Ferdinando 400 ducati, si conoscono due abbozzi: un olio su tela, dove è raffigurata solo la testa, e un olio su cartone, dove è raffigurata in modo simile al ritratto finito. Carlo Falconieri riporta una vivace descrizione delle sedute di posa della principessa, che il pittore ritrae a figura intera e formosissima qual era, superando tante e tante difficoltà. Le imprese di tale ritratto non dovettero essere delle più semplici, almeno stando alle notizie riportate dal biografo Carlo Falconieri, che oltre a descriverla:“ la duchessa Floridia, principessa di Partanna, una delle triade, che al dire del Colletta, era per bellezza e per antiche libidine famosa “ riporta le parole del Camuccini tratte da una lettera che il pittore invia al fratello Pietro: “Lunedì, egli dice, finì il contorno e martedì mi portai dalla medesima per dipingere; appena mi vide dissemi che quella posizione non le piaceva, onde dovetti sulla tela stessa fare un altro contorno, e fatte le tinte, appena cominciai, alla prima pennellata, mi disse di essere stanca e di tornar l’indomani alla stessa ora[…] quest’oggi è venuta vestita in gran gala, credendo che dovessi dipingerle gli abiti, onde ho abbozzato il cappello e il petto, senza poter fare niente alla testa, dicendomi che lo stare in azione per lei era una morte, e che tutti i ritratti fattole, l’erano stati presi in società, ovvero guardandola. Non si crepa perché Iddio non vuole, ma si soffre pene di morte. Dipingere una donna difficilissima senza vederla, senza tempo, con smania di tutti di vedere cosa viene e con tanti invidiosi (possano questi godere un’ora quello che io passo tutti i giorni prima di uscire dalle sue stanze). Il dipinto mostra la giovane donna, di vent’anni più giovane del sovrano, in tutta la sua mediterranea e solare bellezza, come una donna greca. Raffigurata seduta su una poltrona con un elegante abito, a gambe incrociate, con i capelli raccolti sulla nuca e in testa un cappello abbellito da una lunga piuma. Un tendaggio rosso limita lo spazio sulla sinistra, mentre sullo sfondo, a destra, si intravede una scultura neoclassica inscritta in una nicchia e accanto un’idria di terracotta con fiori.
Il quadro fu scoperto in casa Grifeo da Salvatore Di Giacomo e fu comprato dallo Stato negli anni Trenta. Nel 2008, dopo attento restauro, il quadro è tornato a risplendere nei saloni di Villa Floridiana, un tempo residenza della duchessa. Al pubblico, che visitando ammira la figura di Lucia Migliaccio al massimo del suo splendore, pare vederla sorridere e, proprio come un tempo.
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