‘A Genovese
di Mimmo Piscopo pittore
La fantasia culinaria nasce spesso dalla fortuita combinazione di elementi che si amalgamano in saporite mescolanze, le cui paternità non si possono stabilire in diritti di primogenitura, per cui, la bontà si ascrive in elaborazioni successive, grazie alla volontà di artefici gastronomici succedutisi nel tempo e nei luoghi preposti, in sorta di competizioni atti ad attrarre buongustai il cui palato fa da ambasciatore per la buona tavola. Le varie origini non si possono stabilire con esatto puntiglio geografico, anzi, il caso della “genovese” è esempio evidente e fuorviante della origine geografica, appunto.“La “genovese” è stata menzionata addirittura nel medio evo, ed attraverso ricerche credibili, nelle osterie di Napoli sin dal periodo aragonese, quando numerose colonie di mercanti e di naviganti si stabilivano a Napoli con acquartieramenti in diverse zone della città, dalle logge che propagavano usi e costumi delle varie etnie, quali le logge pisane, veneziane, fiorentine, e come quella genovese in oggetto. A Napoli, nell’allora brulicante capitale di un regno dalle infinite tradizioni trasposte dalle patrie di origine, si potrebbe ipotizzare che alcuni cuochi genovesi, in terra partenopea, elaboravano pietanze la cui fantasia prevedeva componenti di provenienza orientale, ma che comunque, Genova non era direttamente interessata. La componente principale della “genovese” è composta da una buona quantità di cipolle, preferibilmente le rosse di Tropea, fatta cuocere con il lacerto, pezzo di carne di manzo avvolto, strettamente legato da apposito spago, la cui pietanza abbisogna di dedizione e pazienza, dal tempo necessariamente abbondante, insomma, come il ragù, deve “pippiare”, bollire a lungo, lentamente, insieme a sedano, carote, tocchetti di prosciutto, salame, sugna o olio, sale, prezzemolo e facoltativo pepe. Per ottenere quella particolare squisitezza della crema di cipolle, aggiungere poca acqua e vino bianco, la cui amalgama è il segreto della genovese che condirà ziti o mezzani annegati in questa preziosa, bionda crema che insaporirà ancor più la carne tagliata a fette e che susciterà immancabilmente invidia ed acquolina grazie al suo inconfondibile afrore che si spande tutt’intorno come prezioso profumo. Se la quantità dovesse risultare sufficiente atta ad appagare i palati della giornata, resterebbe da assaporare il giorno seguente con l’aggiunta di pezzi di pane, annegati nel sacro sugo di carne e cipolla. L’apologia della genovese viene impoverita quando i mezzi economici non consentono e limitata a soli umili ingredienti come abbondante cipolla, per cui si nomina: finta genovese, finto brodo, finto ragù, con la pia illusione che tutto il finto dia il miraggio o l’idea della veritiera, originale pietanza.
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