La poesia della scuola di Posillipo nelle tele di Consalvo Carelli
di Camilla Mazzella laureata in Studi storico-artistici
Consalvo Carelli è una piccola strada che collega via Annella di Massimo con via Luca Giordano ed è molto cara ai vomeresi non solo perché porta il nome di un grande artista ma anche per la presenza di un antico cinema: l’Arcobaleno.
Il Romanticismo tiene ancora cattedra. Anche se i segni della crisi sono sempre più forti. Prendono via via corpo due canoni estetici (che dalla letteratura impegneranno anche l’arte): la Scapigliatura e il Verismo. La prima breve, anche se di intensa eco; la seconda destinata invece a coprire tutto l’arco del secolo, dagli anni postunitari alla Grande Guerra. Per la narrativa valgono i nomi di Verga e Capuana; per la pittura, invece, quelli di Giacinto Gigante, Anton Sminck Pitloo e Consalvo Carelli. Il quale nasce nel 1818, a Napoli, sulla collina dell’Arenella in quella casa che già era stata abitata nel 600 da Salvator Rosa. L’artista, primogenito di una famiglia pugliese, iniziò giovanissimo a dipingere. Dapprima sotto la guida del padre Raffaele, paesaggista, e subito dopo allievo del pittore scozzese William Leitch con il quale approfondì la tecnica dell’acquerello. Carelli ebbe una lunga attività artistica e sperimento’ diversi linguaggi stilistici: fu disegnatore, illustratore e pittore di paesaggi segnati da un rigore compositivo e da un certo lirismo. All’età di 12 anni partecipa alla Mostra annuale borbonica con due disegni, ottenendo una medaglia d’argento. A 15 anni prende parte ad una seconda mostra, con un grande acquerello di Piazza della Vicaria. Il dipinto rappresentava un’animata scena con figure popolari e fu acquistata, poi, dalla regina Isabella.
Nel 1837 i Borboni, che lo apprezzavano moltissimo, lo accreditarono presso la buona società romana, dove, insieme al fratello Gabriele, entrò in contatto con gli allievi dell’Accademia di Francia e con quelli di San Luca. Sono riconducibili a questo soggiorno una serie dal vero di campagne romane, utilizzando sia la tempera ad olio che la tecnica dell’acquerello. Nel 1840, rientrato a Napoli, Consalvo continua a dedicarsi al paesaggio, con particolare riferimento a Napoli e alla costiera sorrentina e amalfitana. Sulle pareti dello studio di Gioacchino Murat, nel Palazzo Reale di Napoli, sono presenti alcuni di questi paesaggi, realizzati da Consalvo Carelli. Come era abitudine degli artisti napoletani in quegli anni, Carelli non mancò di recarsi a Parigi. Ed anche qui ebbe successo, ottenendo commissioni di prestigio.
Nel 1845 dipinse per lo zar di Russia due vedute di Napoli: “Napoli dai Camaldoli” e “Napoli dai giardini reali di Portici”, presenti all’Ermitage di San Pietroburgo.
Spirito avventuroso e irrequieto, Carelli si impegnò anche politicamente e partecipò con i garibaldini alla battaglia del Volturno del 1860.
Dopo l’unificazione d’Italia i temi della sua pittura si allargano fino a toccare anche le prime forme di brigantaggio, nato sullo squilibrio sociale legato agli anni dell’Unita’ d’Italia. Ne è prova un album illustrato per Vittorio Emanuele II, conservato alla Biblioteca reale di Torino. Carelli lavorò fino alla morte avvenuta nel 1900. A Napoli fu sepolto nella cappella degli artisti a Poggioreale.
Altre sue opere fra cui “Castelvolturno” e “Falaise di Normandia” (dipinto nel quale le rocce e il mare conferiscono al quadro una straordinaria monumentalità sono presenti in vari musei e collezioni private.
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