L’arte di Macedonio che ornò i palazzi del Vomero
La sua ceramica ha conquistato non solo Napoli ma anche New York
Poco si conosce della vita dell’artista vomerese del ‘900, Giuseppe Macedonio, ancora meno sono le testimonianze di coloro che lo hanno conosciuto e che ne hanno raccontato personalità e filosofia. Dal carattere umile e spesso riservato, poco lasciava trasparire di sé, se non la sua innata passione destinata ad accompagnarlo per sempre.
Così la figura di Giuseppe Macedonio sfuma nel tempo, lasciando inconfutabile solo la concretezza delle sue opere, per lo più decorazioni in ceramica che ricoprirono manufatti e strutture architettoniche, prima fra tutte, la fontana dell’Esedra alla Mostra D’Oltremare.
Progettata negli anni ’40 dagli architetti Carlo Cocchia e Luigi Picanto, venne realizzata per celebrare il colonialismo italico. Macedonio ricoprì della sua arte ben 1000 metri quadri, rappresentando l’uomo nelle sue attività primordiali, quali la pastorizia, la caccia e l’agricoltura.
Sicuramente si tratta della sua opera più nota per storia oltre che per dimensioni (è, infatti, la fontana più grande di Napoli), ma basta camminare per le strade del Vomero per osservare da vicino la peculiare forma d’arte di Macedonio.
Da via Aniello Falcone, a via Cilea, ma anche via Gino Doria, Cimarosa, Mario Ruta e Mario Fiore, si scorgono, ad ornamento dei palazzi, le opere dell’artista che volle unire ceramica, pittura e architettura.
Imparò, infatti, il mestiere del ceramista, quando, rimasto orfano a 17 anni, lavorò presso la Ditta Chiaruzzi. Tuttavia decise ben presto di abbandonarla per dedicarsi alla pittura, che lo accompagnò per molti anni, finché non decise di unire ai suoi dipinti il volume della cera.
Rimodellò i corpi dei suoi personaggi, plasmò i loro volti fino a creare una sorta di bassorilievi di scene di vita quotidiana che sembravano accompagnare quella dei cittadini.
Infine, nacque l’idea della combinazione con l’architettura: il giovane Macedonio, avendo bisogno di lavorare, decise di unire passione e mestiere.
Così la sua ceramica conquistò non solo Napoli, ma anche Gallipoli e Faenza, fino ad oltrepassare i confini nazionali ed arrivare al Brooklyn Museum di New York. Fu proprio la sua arte a parlare per lui, ad esprimere il suo animo, come lui stesso dichiarò in un’intervista rilasciata al Corriere del Vomero nel 1978.“Così come abbiamo un segno che indica la parola, allo stesso modo abbiamo dei segni che indicano sentimenti, e cioè pittura, scultura. Io mi sono sempre attenuto a questo principio, e mi sono sempre rivolto agli altri, collocando le mie opere dappertutto, anche a prezzo irrisorio, pur di arrivare alla gente, a portare il mio contributo di ‘dire di sentimenti’”.
Laura d’Avossa
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