Da Antignano a via Tasso passando per le favole del Basile
Padre Gennaro Matino si racconta
Negli anni ‘50 Antignano era ancora un’Arcadia in miniatura. C’erano i ricchi che abitavano le ville dove trascorrevano le vacanze estive al fresco, e c’era chi, nato là, ci abitava tutto l’anno coltivando un rapporto con la natura e il verde che oggi facciamo fatica a immaginare. Tra questi c’era il giovane Gennaro Matino. Oggi è un parroco che gira il mondo e ha una lunga esperienza nelle zone alte del Vomero, come via Tasso. Allora, giovanotto, si aggirava per il suo borgo felice di vivere in un piccolo Eden, lui insieme ai suoi cinque fratelli. Lo raggiungiamo al telefono mentre è in viaggio in Terra Santa.
Padre Matino che ricordi ha di Antignano agli inizi degli anni Sessanta?
“Era un borgo dove le persone si conoscevano tutte, un antico mercato ricco di umanità perché si poteva comprare anche a credito. Ognuno aveva un mestiere i cui guadagni condivideva con uno spirito di compassione. Poi quello spazio è diventato un mercato diverso, si è trasformato in altro. Certo rimane un posto suggestivo nel cuore del Vomero, ma ha perso le radici antiche e la capacità di aggregazione. Rimane, di Antignano, il suo grande fascino storico.
Perché?
C’è l’antica lapide dove si dice che “qui si paga per li regi censi”, Antignano era un posto di dogana, il regno di Napoli lì metteva i gabellieri per far pagare chi doveva andare “anti agnanum”, da quel punto si passava il confine e andando sempre diritto si raggiungeva Agnano. E poi qui, nel Terzo secolo, c’è stato il primo miracolo di San Gennaro, dove c’è la chiesa di San Gennaro ad Antignano.
Quando andò a via Tasso sentì che la gente era diversa rispetto a quella di Antignano?
“C’è un ambiente più borghese, ma pure ci sono tante persone buone”.
Esiste il vomerese doc?
“Dipende da cosa intendiamo. Oggi abitare al Vomero non significa essere un vomerese. Il vomerese, se proprio vogliamo trovare una definizione di un tipico abitante di questo quartiere, vive di tradizioni culturali proprie che si radicano in quello spazio collinare che è scambio di umanità, di calore umano, di comunità che si difende insieme dai problemi, non lasciando dietro nessuno, perché si è tutti vomeresi”.
Oltre che di teologia lei è anche un grande studioso di napoletano antico
“È un modo per me di tornare alle origini. Ho tradotto tre fiabe del “Cunto de li cunti” di Giambattista Basile, «Pinto Smalto», «Sole, Luna e Talia» e «Le tre cetra». La prima è incentrata sul difficile rapporto tra uomo e donna, la seconda è stata poi rivisitata dai fratelli Grimm e intitolata “Cenerentola”, la terza gira intorno a un intrigo tra donne che si risolve tragicamente. Le traduzioni precedenti hanno sempre messo in evidenza il tono fantastico e fabuloso del Basile, non quello provocatorio, di sfida al potere. La mia traduzione vuole trasmettere questo tratto, ho provato a sottolinearne l’aspetto etico».
Lo lasciamo proseguire nel suo viaggio alla continua ricerca di un arricchimento culturale-religioso come teologo, scrittore e sacerdote.
Ugo Cundari
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